Cessione stipendio, ABF sent. 24/2018

L'Arbitro Bancario Finanziario chiarisce che la violazione del limite di cessione del quinto del salario, tramite stipulazione di un ulteriore prestito, non conduce alla nullità del nuovo contratto, in linea con il quadro normativo che impone l'estinzione del finanziamento precedente tramite il nuovo contratto.

Art. 39 TUCQS – Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Coordinamento – Sentenza n. 24 del 03 Gennaio 2018 – Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto. In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto. Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative – c.d. nullità virtuale – qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, possa determinare, per ciò solo, la nullità del secondo contratto. Al riguardo, occorre infatti evidenziare che l’art. 39, comma 2, e, più chiaramente, l’art. 40, commi 1 e 3, d.P.R. n. 180/1950 impongono che il secondo contratto sia (necessariamente) destinato ad estinguere il precedente finanziamento, così escludendo, in radice, la possibilità di un cumulo oltre il limite del quinto. Anche qualora il “ricavato della nuova cessione [non] sia destinato, sino a concorrente quantità, alla estinzione della cessione in corso” (come richiesto dall’art. 39, comma 2, e dall’art. 40, comma 1, d.P.R. n. 180/1950), l’art. 40, comma 3, chiarisce che tale evenienza costituisce diretta conseguenza del dovere, posto (da un regola evidentemente di comportamento e non di validità) in capo al secondo mutuante, di “pagare al primo cessionario il residuo suo credito contemporaneamente al pagamento al mutuatario del ricavato netto del nuovo mutuo”; dovere che, all’evidenza, non può che presuppore la validità del secondo contratto che, unitamente alle richiamate previsioni dell’art. 40, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 (art. 1339 c.c.), ne costituisce la fonte (il presupposto). Nella stessa direzione depone, inoltre, il comma 4 dello stesso art. 40, secondo cui l’“obbligo della garanzia da parte del Fondo e l’obbligo dell’amministrazione di versare le quote di ammortamento del prestito sono subordinati alla condizione che l’istituto mutuante adempia all’estinzione della precedente cessione”. Anche sotto questo profilo, la violazione (indiretta) della soglia del quinto prevista dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950  è riconducibile alla violazione, da parte dell’amministrazione, dell’obbligo di non “versare le quote di ammortamento del prestito” al nuovo istituto mutuante, qualora lo stesso istituto non abbia precedentemente estinto la precedente cessione, così escludendo il presupposto del superamento della soglia del quinto. Il meccanismo ora delineato è per se stesso incompatibile e antinomico rispetto alla tesi della nullità del contratto perché postula la produzione di effetti sia pure diversi da quelli voluti dalle parti (in tal senso è significativo che l’art. 40 d.P.R. n. 180/1950 sia rubricato “Effetti di una nuova cessione in rapporto alla precedente”). Ne consegue che la violazione indiretta del limite dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 che, come nel caso di specie, può verificarsi qualora, contrariamente a quanto stabilito dagli artt. 39 e 40, la seconda cessione non sia destinata all’estinzione della precedente, deriva direttamente (non dalla violazione di una regola di validità, ma) dalla violazione degli obblighi di condotta posti in capo al secondo cessionario (che “deve pagare al primo cessionario il residuo del suo credito contemporaneamente al pagamento al mutuatario del ricavato netto del nuovo mutuo”, art. 40, comma 3, d.P.R. n. 180/1950) e suscettibili di responsabilità risarcitoria, non potendosi certamente ipotizzare cha la nullità di un contratto dipenda non da una patologia genetica, bensì da comportamenti posteriori alla sua conclusione e contrastanti con doveri che la legge fissa sul presupposto implicito della validità del contratto.